Anselmo Ballester da giovane (1913)
Anselmo Ballester
(Roma 1897-1974)
Pittore e illustratore, Ballester è riconosciuto come il pioniere e il massimo esponente del cartellonismo cinematografico italiano. Per quasi cinquant’anni ha contribuito con la sua arte al successo di oltre tremila film: “Tempi Moderni”, “Roma Città Aperta”, “Ombre Rosse”, “La Signora di Shanghai”, “Trinidad”, “Il Grande Caldo”, solo per citarne alcuni. Grande ritrattista, dotato di creatività multiforme, è stato anche grafico, decoratore, scenografo, disegnatore commerciale, di moda e di architetture per gli interni, oltre che paesaggista e pittore di arte sacra.
Anselmo Ballester comincia a dipingere agli inizi del Novecento, collaborando sin da bambino col padre, il pittore di origini spagnole Federico Ballester già famoso all’epoca e attivissimo tra Roma e Parigi. Con lui trascorre alcuni anni della fanciullezza nella capitale francese, dove ha il suo primo contatto con il cinema quando sulla facciata di un palazzo, ammira e resta folgorato da una delle prime proiezioni di immagini in movimento. Talento precoce, a tredici anni tornato a Roma, Anselmo già frequenta la Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Francia e contemporaneamente lavora nel reparto disegnatori di un grande stabilimento litografico (IGAP), coadiuvando il padre nella realizzazione su pietra litografica dei primi manifesti. Realizza il suo primo bozzetto cinematografico nel 1914 e da allora dipinge ininterrottamente, apprezzato dal pubblico e sempre più richiesto dalle grandi case di produzione italiane e dalle major americane: Cines, Caesar, Tespi Film, Cosmopolis, Medusa, Titanus, Fox, Paramount, Columbia, solo per citarne alcune.
Appassionato delle più svariate forme artistiche, Ballester affianca alla pittura un’intensissima attività di studioso, meno conosciuta ma fondamentale. Per dominare i soggetti dall’interno, svolge ricerche storiche minuziose sui costumi, sugli arredamenti e sulle architetture nelle varie biblioteche classiche di Roma. Un particolare rilievo hanno le sue ricerche sugli stili calligrafici, nel suo studio infatti custodisce album con gli alfabeti riprodotti nelle grafie antiche e moderne, oltre a vari alfabeti “esotici”, per poter ideare di volta in volta un lettering accuratissimo e insieme fantastico che va ad aggiungere ancora più incisività alla grafica e al titolo del film in questione. Per Ballester è indispensabile attingere a un patrimonio tecnico, di stili e di arti il più variegato e ricco possibile, anzi necessariamente eclettico, quanto eclettico è l’universo delle regie, delle scenografie e delle trame cinematografiche, per poter soddisfare le aspettative più disparate e sempre irrinunciabili delle personalità dei vari committenti, degli artisti, dei creatori di cinema e soprattutto del grande pubblico. Ha infatti uno stile estremamente colto e tuttavia immediatamente godibile anche dall’occhio più distratto di ogni possibile spettatore. Ne rendono testimonianza gli innumerevoli schizzi e i disegni preparatori, realizzati a migliaia, che mettono a fuoco la genesi delle composizioni pittoriche e di come i suoi manifesti tesaurizzino la dimensione culturale più profonda di ogni soggetto, dal film più anonimo al grande capolavoro, decennio dopo decennio creando con le sue immagini una “storia parallela” del cinema e della società in cui ha vissuto.
Mentre sfoglia i suoi album di schizzi
Nel manifesto di “Scarpette Rosse”
Osservando i suoi capolavori
La sua attività nel mondo del cinema prende il via negli anni ’10 del ‘900, con ritratti mirabili delle più famose attrici dell’epoca, dive del cinema muto come Francesca Bertini, Maria Jacobini e Bianca Bellincioni. Un esempio particolarmente interessante, per la storia del cinema italiano, sono i suoi elegantissimi ritratti di Leda Gys, icona del successo della Lombardo Film alla fine degli anni ’10 e moglie di Gustavo Lombardo (fondatore dell’omonima casa di produzione) con cui avrà un figlio: Goffredo Lombardo, futuro creatore della Titanus.
Oltre a dipingere per il cinema si cimenta anche con la pubblicità e a 21 anni, nel 1918, come scrive lui stesso nei suoi diari, ottiene il “clamoroso successo che gli apre la carriera”, con un manifesto per pubblicizzare la grande novità della Rinascente, trasformazione rivoluzionaria dei vecchi magazzini “Bocconi”, appena battezzata così da Gabriele D’Annunzio. Inoltre pochi anni dopo, nel 1921, vince l’importantissimo concorso per il miglior manifesto celebrativo, in occasione della traslazione e sepoltura della salma del Milite Ignoto all’Altare della Patria. Un uomo tragicamente spirituale, trasumanato nel sudario della bandiera tricolore, spicca sulla prospettiva maestosa del Vittoriano: è il soldato senza volto, che impersona
l’eroismo della Nazione. L’opera originale dipinta dal giovane Ballester è custodita ancora oggi al Vittoriano, nel Museo del Risorgimento di Roma.
Ballester da subito si afferma definitivamente anche come il più prestigioso pittore pubblicitario di cinema. Lo stile pittorico dei suoi manifesti si fa più illustrativo ed inizia a narrare per immagini un racconto complesso, condensando in un unico artwork varie scene e aspetti salienti della trama del film. Una vera innovazione nel cartellonismo cinematografico dell’epoca. Giocando sui piani prospettici, il pittore provoca e spesso cattura l’attenzione con figure centrali vistose che interagiscono con vari sfondi a effetto. Spesso infatti lo sguardo più distratto è attratto istintivamente dal ritratto in primo piano degli attori protagonisti, ma la forza espressiva di questi volti e corpi non si limita alla fedeltà convenzionale. Il pennello di Ballester fa sprigionare le emozioni dalle fisionomie anche grazie all’uso spregiudicato di colori surreali e magnetici, che devono essere particolarmente potenti per poter pubblicizzare la nuova arte cinematografica, in questi anni ancora muta e in bianco e nero. I colori devono parlare, giacché gli attori non possono, e con i colori è possibile attivare la fantasia del passante più ignaro e distratto, per indurlo a diventare spettatore, a fidarsi e a entrare in sala per godere della bellezza espressiva dell’austero bianco e nero degli inizi. Rossi e verdi squillanti, gialli eccessivi e turchesi materializzano prepotentemente gli stati d’animo, cesellati nei particolari con cura fisiognomica. Lo spazio modesto di una tela e della sua trasposizione tipografica su un manifesto o su una locandina acquista una vibrazione dinamica, in cui rivive un’intera sceneggiatura, tutto il film in un un’unico frame.
Per questo i bozzetti cinematografici disegnati da Ballester si trasformano quasi sempre in vere e proprie icone, che suscitano nell’immaginario collettivo l’attrazione promessa dal film diventandone istantaneamente emblema e memoria.
Dai primi anni ’30 il repertorio di elementi iconografici inseriti nelle sue opere aumenta e con l’avvento del film parlato, Ballester focalizza l’attenzione sui simboli più riconoscibili del suono: pentagrammi, note e strumenti musicali. Medesima operazione con il cinema a colori utilizzando altri riferimenti iconografici immediati: l’arcobaleno, la tavolozza e lo spettro cromatico completo per sottolineare la recente introduzione del “Technicolor”. In questi stessi anni inoltre il fenomeno del “divismo” è ormai dominante, rendendo ancora più complessa la realizzazione dei manifesti, in quanto Ballester rifiuta la rappresentazione piatta di volti e di corpi. Moltiplica le tecniche di composizione scenografica, nei suoi layout infatti i corpi, i visi e gli sguardi degli attori interagiscono in modi del tutto nuovi con gli altri elementi presenti nel disegno, creando un tutt’uno con le scene del film illustrate spesso sullo sfondo. Un mondo variopinto mai visto prima, che rende Ballester un pioniere nell’utilizzo complesso e virtuoso di svariate tecniche di comunicazione visiva per promuovere un film attraverso un “semplice” cartellone cinematografico.
Negli anni ’40 lavora come può purché ci siano committenti, mentre scompare nella catastrofe della guerra il suo mondo di gioventù, la sua amatissima belle époque e il sogno di un progresso strabiliante e avventuroso. La guerra lo ha provato, ma vi è passato abbastanza indenne anche se nell’immediato dopoguerra per guadagnare qualcosa si è dovuto addirittura reinventare come disegnatore di fumetti. Collabora infatti con il giornalino “Il Pupazzetto”, per il quale crea e disegna le avventurose storie di copertina dello “Scimmiottino d’oro” e le tavole più favolistiche di “Pitirò e Biliffe”.
Inoltre in questi anni si fa sempre più stretta la collaborazione sempre con altri due pittori cartellonisti, nonché cari amici: Alfredo Capitani e Luigi Martinati. I tre fonderanno il gruppo B.C.M. (dalle iniziali dei loro cognomi) che sarà la prima agenzia dedicata alla pubblicità cinematografica e grazie alle immense doti dei tre illustratori monopolizzerà per un lungo periodo il mercato dei cartelloni di cinema.
Con la figlia Liliana
Anselmo Ballester con i suoi adorati nipoti
Negli anni ’50 la produzione di Ballester raggiunge vertici di raffinatezza che sfiorano il preziosismo, i suoi bozzetti e gli stessi manifesti diventano autentiche opere d’arte. Le nuove bellezze femminili, Rita Hayworth, Judy Holliday, Lucille Ball, Kim Novak, e i nuovi filoni del cinema americano, dal western alla commedia sofisticata al thriller, e i nuovi eroi interpretati da John Wayne, James Stewart, Gary Cooper, Gregory Peck, Humphrey Bogart, gli sono molto congeniali e arricchiscono la sua produzione di tanti capolavori. I manifesti disegnati da Ballester in questo periodo segnano un traguardo inarrivabile nel cartellonismo cinematografico italiano e non solo, apprezzatissimi e collezionati ancora oggi in tutto il mondo da appassionati e grandi cineasti, come Martin Scorsese, custoditi da istituzioni prestigiose come il Museo Nazionale del Cinema di Torino e il MOMA di New York.
Nel 1959, dopo la morte dell’amatissima moglie Cecilia, a causa di un brutale incidente automobilistico, Anselmo Ballester decide di ritirarsi. La perdita di Cecilia sarà incolmabile, segnerà di malinconia, di amarezza e di disillusione gli anni successivi, rasserenati ancora solo dal calore del nido familiare: l’amore e le premure delle figlie, Liliana e Gloria, la stima e discreta amicizia del genero, Angelo Procesi, e la combriccola dei quattro nipoti, tutti diversissimi ma tutti coinvolti come “modelli” per gli ultimi bozzetti, fino alla nascita dei primi pronipoti. Ballester in quegli anni è saturo di attenzioni e desideroso di ritirarsi nel suo mondo di fantasie e creazioni incessanti, nella sua “anima milionaria”, come scherza nei suoi scritti, ancora ricca del tesoro inesauribile delle sue fantasie e intuizioni artistiche. Dipinge qualche ritratto e vari paesaggi, suona chitarra e pianoforte e scrive tantissimo, ripercorrendo nei suoi diari la straordinaria vita d’artista dedicata quasi esclusivamente alla pittura e al cinema. Muore a Roma il 22 Settembre 1974.